Dal riciclo alla lotta agli sprechi, ci salveremo con l’economia circolare. Ecco tutti i segreti spiegati dall’esperto Paolo Lugiato

di Quotidiano Libero

All’ultimo Ecomondo, la fiera che riunisce il mondo della green economy dell’ambiente, che si è conclusa ieri a Rimini, in tanti stand ed eventi capeggiava una sola parola d’ordine: economia circolare. Dalle automobili ai rifiuti, dai produttori di plastiche alle utility di acqua ed energia, tutti parlavano di questo nuovo concetto che ha definito i contenuti dell’edizione 2017 di Ecomondo. Ma cosa s’intende per economia circolare? Lo abbiamo chiesto a Paolo Lugiato, che da anni si occupa di energie rinnovabili e business green e che recentemente ha analizzato più in dettaglio questa nuova teoria economica.

La prima domanda nasce spontanea: che cos’è l’economia circolare?
Secondo Ellen MacArthur, madrina dell’economia circolare “è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola”. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera, riciclando, riutilizzando, riparando. Si passa da “un’economia estrai-produci-consuma-dismetti” ad un modello che come ben descrive il giornalista ambientalista Emanuele Bompan nel libro “Che Cosa è l’Economia Circolare” (ed Ambiente) dove tutto si trasforma. Il concetto di rifiuto scompare, la produzione industriale diventa rigenerativa, la condivisione di oggetti ne massimizza il valore d’uso, si riduce il più possibile l’obsolescenza di un oggetto, rendendolo più semplice da riparare, modificare, aggiornare, rigenerare riciclare. Attenzione però: dobbiamo evitare che diventi come la green economy, uno strumento per nascondersi dietro ad una narrativa dipinta di verde, mentre si continua ad essere un’industria inquinante. La Circular Economy non deve ammettere comparse e figuranti.

Come uscire dalla logica “produci, consuma, dismetti”?
Serve rispettare tre principi. Il primo è riscoprire i giacimenti di materia scartata come fonte di materia, limitando quanto possibile la lavorazione, anche attraverso riciclo. Il secondo principio è legato alla fine dello spreco d’uso del prodotto, prima ancora di essere scartato. Magazzini colmi di macchinari in attesa di essere dismessi, scatoloni in cantina pieni di vestiti con scarso valore affettivo, oggetti comprati e usati una volta all’anno. Un ammortamento inutile di assets il cui valore non è fatto fruttare.

Il terzo principio è fermare la morte prematura della materia. Sebbene riciclo e riuso siano strategie fondamentali di recupero della materia, spesso condanniamo a morte – cioè alla dismissione – della materia perfettamente sana. E poco importa che sarà riciclata, dato che il processo richiede comunque energia per la trasformazione. Spesso a rompersi o guastarsi è solo una parte di un oggetto, mentre le restanti componenti rimangono perfettamente funzionanti. È come seppellire una persona che ha un braccio rotto. Riparare, upgradare, fermare i processi più estremi della moda, rivedere le pratiche di obsolescenza programmata sono le strategie auspicabili.

Come implementare politiche l’economia circolare? 
Bisogna vedere come sarà recepito il Pacchetto europeo sull’economia circolare, tema che ha tenuto banco durante Ecomondo, con un gruppo di lavoro dedicato. Questo “pacchetto economia circolare” comprende quattro proposte di modifica delle direttive sui rifiuti a partire dalla direttiva “madre” 2008/98/Ce e poi le direttive “speciali” in materia di rifiuti di imballaggio (1994/62/Ce), discariche (1999/31/Ce), Raee (2012/19/Ue), veicoli fuori uso (2000/53/Ce) e rifiuti di pile e accumulatori (2006/66/Ce). Inoltre la Commissione ha stabilito una roadmap con una pletora di iniziative che variano dallo scarto alimentare ai fertilizzati ricavati da scarti organici, dall’eco-design alla responsabilità estesa di prodotto, che dovranno essere fatte proprie dagli stati membri. Il pacchetto contiene obiettivi importanti: almeno il 70% in peso dei rifiuti urbani dovrebbe essere riciclato o preparato per il riutilizzo; si dovranno ridurre i rifiuti alimentari del 30% per il 2025 e del 50% entro il 2030 (rispetto al 2014). Sui rifiuti in discarica l’obiettivo è fissato a solo 5%. Ora pero inizia il duro trilogo, ovvero la proposta della Commissione incontrerà il Consiglio UE e il Parlamento. La speranza è che il pacchetto non venga eccessivamente annacquato e che gli stati siano ambiziosi nel processo di recepimento.

A che punto siamo in Italia?
Ottimo direi, anche se può sembrare un’affermazione contro intuitiva. Riciclo e riuso sono diffusi a molti livelli, dai consorzi alle piccole riciclerie, i repair shop sono in aumento, la filiera commerciale è attenta ai nuovi processi di prodotto come servizio. Nella bioeconomia ci sono tantissimi processi virtuosi, dai tessuti dagli scarti agricoli alle bioplastiche. Serve certo maggiore sostegno della politica e il supporto di grandi aziende come FCA che sta guardando con interesse all’economia circolare nei suoi processi di produzione. Abbiamo un primato: abbiamo Renewable Matter, una rivisita internazionale, nata a Milano, in italiano e inglese, interamente dedicata all’economia circolare.

Da tenere d’occhio l’hub Progetto Manifattura a Rovereto. Da quest’anno la Provincia Autonoma di Trento ha deciso che la mission dell’incubatore è quella di sviluppare sempre di più il tema circular attirando nuove start-up. Come Vegea, che fa pelle vegetale ricavata dalle vinacce di scarto. Siamo dunque meglio di Germania e Stati Uniti. Ci batte l’Olanda, ma noi siamo un paese molto più grande e strategico degli amici Orange. Serve uno slancio di fiducia e un governo che ne faccia un caposaldo. La prossima legislazione sarà fondamentale.

Quest’articolo è stato ripreso in quanto contiene numerosi passaggi significativi dell’autore di questo blog.

2018-02-15T11:35:29+01:00 29 Gen 2018|News|